“…e dopo ‘l pasto ha più fame che pria“. Divina Commedia, Inferno, canto I.
Una volta avrei avuto paura di non essere più capace di accontentarmi. Di sentirmi sazia.
Se lo strizzacervelli ti dice che sei un motore che va a benzina affettiva tu gli credi, nonostante la pregressa convinzione di essere cresciuta in un’incubatrice virtuale di malmostosità e diffidenza.
Il riccio si difende mostrando gli aculei, ma ha un corpicino estremamente fragile.
Ecco: ho sempre avuto paura di cadere dalla parte sbagliata, come la fetta imburrata di Murphy.
Se mostri agli altri i tuoi punti vitali, gli altri ti colpiranno.
A volte è successo, a volte ho colpito io, attaccando con la convinzione e la presunzione della legittima difesa.
Spesso gli equilibri sono molto fragili, e labili i confini fra la propria libertà, che finisce laddove inizia quella degli altri, coloro che pare guardino torvo.
L’aver re-incontrato un uomo vero mi lascia perplessa.
So che cosa può darmi, so cosa posso dargli.
Soprattutto conosco i limiti di una situazione complicata grazie anche alla mia scarsa lungimiranza.
Intanto me ne sto qui, in difesa ma senza spirito aggressivo.
La mia capacità di amare è in letargo, sebbene attenzioni e gentilezza d’animo scaldino dentro.
Però ho capito, finalmente, che ho cara soprattutto una cosa: la mia libertà.
E se qualcuno, adesso, si aspetta l’omonima canzone di quel magnaccia di Califano, sappia che l’ostessa di questa taverna va dove la porta l’estro.