Metti l’ombrello a fiori che ondeggia, impigliandosi nei capelli, e gli occhiali un po’ bagnati, che ti fanno vedere il mondo sotto una lente che deforma come gli specchi dei lunapark.
Metti l’espressino delle sette di sera, e la caffeina che farà a botte con l’alprazolam.
E quei due tipi della drogheria, madre e figlio, Norman Bates e la sua mummia alla cassa: personaggi tirati fuori da un vecchio libro del passato.
L’edicolante che ha il gazebo in piazza, e il fioraio della famosa begonia, di fronte.
Il parcheggiatore che fa la ronda guardando i cruscotti, mentre gli passo davanti per entrare nella mia puffa e ripartire.
Metti l’auto che inchioda davanti all’enoteca, e lui che riaccende le luci e mi fa entrare, nonostante fosse ufficialmente chiuso.
E mi sorride, mi stringe le mani e mi da del tu, come fossimo vecchi amici e non semplici conoscenti occasionali.
Non compro niente, mi scuso per avergli fatto perdere tempo, lui sorride, dice che non c’è problema, mi accompagna alla porta e mi saluta con calore.
Mi improvviso pirata della strada per una decina di metri per evitare un giro lungo, tanto in quella zona non c’è quasi più nessuno, imbocco la prima traversa a destra e torno verso il centro ingolfato di auto in processione, che pare quella dei Misteri, tanto è lenta e noiosa.
Guadagno la periferia e sgommo verso l’uscita: torno a casa, dove qualcuno mi aspetta.