A volte mi è capitato di trascinare la lettura di un libro per mesi.
Di portarmelo in borsa, praticamente dappertutto, ma di riuscire a leggerne poche pagine, o qualche rigo.
E’ ciò che è successo con “c’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo“, di Efraim Medina Reyes, uno scrittore colombiano contemporaneo: più giovane di me.
Non posso dire che la lettura non fosse interessante: anzi.
Ho iniziato a leggerlo quand’ero ancora in fisioterapia, prima dell’intervento.
Poi me lo son portato in ospedale, insieme ad altri sei: praticamente convinta di dover passare tutto il tempo a girare pagine.
Ho messo via il segnalibro solo oggi, e solo per caso e volontà (diciamo un buon fifty fifty).
Perchè tutto questo preambolo?
Non lo so di preciso, ma ho la sensazione che a certe parole dovessi arrivarci proprio adesso: prima sarebbe stato inutile, dopo un po’ superfluo.
“Mi domando come staranno andando le cose a una certa ragazza, mi domando se amerà suo marito, se le piacerà come fa l’amore, se vorrà farlo ogni volta che lui vuole, se la costringerà, se lui finge per evitare casini, se è andata dal giudice, se hanno discussioni, se lui ha mai cercato di picchiarla, se lo ha fatto e lei ogni notte pensa di ucciderlo.
Mi domando se sono sereni e amorevoli, se nel loro giardino cantano gli usignoli, se quando pensa a me lo fa con nostalgia o con sollievo.
Mi domando se è tutta una menzogna tra loro o se sono i depositari della verità, e se è tutta una menzogna mi domando quanto durerà.
E’ rischioso fare pronostici, le menzogne sono eterne in mano a gente come una certa ragazza”.
“Mi piace andare a correre tutte le mattine perchè mitiga la tristezza.
Quando sogno una certa ragazza lo so, anche se non lo ricordo.
Me lo dice la sensazione di vuoto nel petto.
Correre aiuta, per questo al mattino presto c’è tanta gente che corre.”
Eh già.
Sai che non riesco a dir altro e che comprendo bene quel passo.
La gente corre..io non ci riesco. Non mi piace.
Forse dovrei cominciare a farlo.
Magari per smettere di arrancare.
Esatto.
Doveva arrivare il momento giusto.
Succede.
Mai forzare.
Malacqua, anche a me riesce difficile correre, sebbene a volte abbia delle accelerazioni improvvise. Il guaio è che giro e giro, ma torno al punto di partenza pur odiando profondamente tutto ciò.
Di solito non forzo mai, e aspetto. In effetti ci sono circostanze nelle quali succede di sentirsi dire quello che era necessario proprio in quel momento.
Domande, troppe domande, a volte è giusto farsene anche di più, a volte proprio nessuna
Mi domando se sono sereni e amorevoli, se nel loro giardino cantano gli usignoli, se quando pensa a “me” *lo fa con nostalgia o con sollievo
*Lapsus freudiano?
E se si fosse costretti a correre quando non si può? Se ci chiedessero una prestazione assolutamente al di sopra delle nostre possibilità? La mia mente corre velocissima ma il corpo è invece lentissimo, tu sei arrivata a quelle parole nell’unico momento giusto.
Un bell’interruttore nel cervello, Meim: On, Off. Sai quante volte ci ho pensato? :-|
Anonimo e molto distratto lettore, ti è sfuggito che ho riportato in corsivo due stralci del libro, e che “me” l’ha scritto Medina Reyes e non io. Non scomodiamo Freud quando “non ci azzecca proprio”.
Sai che a volte è il contrario, Enzo? A volte è il corpo ad andare veloce, mentre la mente si attarda impigliandosi in pensieri stupidi e senza senso. Stavolta mi sono coordinata. Stranamente.
Si, è vero, sono proprio un distratto lettore.Chiedo venia dinanzi a cotanto cospetto letterario.
Simpaticamente, Donato.
Donato, distrarsi è una cosa che capita a tutti.
Per cui…:)