Sono in sella: un piede sul pedale, l’altro sul marciapiede.
Guardo dritto davanti a me, fin dove il viale si biforca tra due blocchi di villette in finto stile mediterraneo.
La donna si materializza all’improvviso: probabilmente era sfuggita al mio sguardo.
E’ piccola e poco aggraziata; indossa una tunica grigio scuro, e tiene stretti due sacchetti nelle mani.
Cammina lenta.
Cammina verso di me.
La guardo, cercando qualcosa di familiare in lei, e non me ne spiego la ragione.
Cammina.
Si muove, ma tra noi c’è sempre lo stesso tratto, come se i suoi passi fossero vanificati da un’istanza irrazionale.
Forse mi guarda, forse no: la distanza non permette di poter notare certi particolari che, mi dico, avrebbero la loro importanza.
Muove i piedi uno dopo l’altro.
Uno dopo l’altro.
Muove i piedi che vanno avanti uno dopo l’altro senza andare avanti uno dopo l’altro.
Cammina lenta.
Cammina.
Probabilmente non mi ha vista nemmeno.
Probabilmente non ci sono.
E’ solo un sogno.
Il tempo si è fermato.
Non è affatto un sogno, tempus fugit.
La donna con poca grazia, la mia bici ed io siamo corpuscoli infinitesimali ed ininfluenti.
Forse non esistiamo nemmeno, se non nella iperproduzione mentale di un’intelligenza differente.
la strada
2 pensieri riguardo “la strada”
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magari
Magari, Willy. Già.