Un’altra alba carica.
Di promesse? Di polvere da sparo?
Di lunghe ore da spendere in giro in auto, da sola, oppure stravaccata sul letto a pensare a quel prodotto di pastamatic impazzito che è la mia vita?
Mi guardo le unghie (unghia, per i puristi) laccate di rosso scuro. Le accarezzo, mi piacciono: piccola concessione agli sgoccioli di una femminilità che sta appassendo, tramutandosi in altro.
Devo aver introiettato parole e verbi sbagliati da più parti, e che belle parti se oggi rifuggo ogni forma di autorità e provo un sano orrore per la famigerata triade conculcata in certi ambienti: dio, patria, famiglia.
Ho sconfessato tutto ma senza euforia dissacratoria: quella macchietta non ero io, e basta.
Adesso che sono finalmente vicina all’esplosione mi chiedo vigliaccamente che ne sarà di me.
Ho avvisato già da tanto: e se dovessi essere prossima al grande salto con l’asta non voglio fiori e commemorazioni idiote. Io sono nessuno, i bei discorsi edificanti sarebbero omaggio e lenimento per i comprimari presenti.
La nera pecorella “godrebbe” di parole che non le spettano.
Mi basterebbe una mezza benedizione, hai visto mai? e subito via, a farmi riconvertire in polvere.
Intanto mi godo il mio smalto rosso, e se mi gira mi taglio i capelli da sola e me li tingo di biondo ramato, che si intona al colore della pelle.
Vorrei tanto salutarvi tutti, cioè quasi tutti, raccattare una Thelma per strada e andare via.
Però non ho una decappottabile, accidenti.
Mi toccherà cambiare pellicola, magari buttandomi su Lynch, che una fine degna me l’assegnerebbe di certo.
Fosse anche quella di rotolare fra i tronchi, in una segheria.
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