Le luci sono basse, sui tavoli da biliardo. Il locale è ancora vuoto: nei diversi settori, tutti rigorosamente american style, si aggirano membri del personale e sostano, inquietanti, statue di pugili famosi e campioni vari dello sport.
Americano.
Mio padre, classe 1920, si chiede il perchè della diffusione di questo genere di posti.
“Non c’è un perchè e nello stesso tempo ce ne sono tanti, pater. Siamo oramai coloni felici, o assuefatti.
Serbiamo giusta gratitudine per i morti dell’aprile del ’45, perchè il sacrificio anche di una sola vita umana merita memoria imperitura. Siamo ancora Alleati, oltre che amici, e va bene così, ma l’identità…”
A volte ho dei blandi rigurgiti di spirito europeista, anzi decisamente italiano. Poi mi dico che oramai il mondo va come deve andare, e torno a preoccuparmi dei minimi sistemi che per me sono massimi: del quantitativo totale delle birre che beve mio figlio, lui che della birra non sopportava neanche l’odore, dei miei giorni minuti, del bilancio familiare da far quadrare e, dulcis in fundo, dello sforzo costante di mantenere i rapporti fra i miei conflitti interiori in uno stato di tregua.
Dovremmo essere vicini alla quiescenza, mi dico per convincermi. Trent’anni di lotte intestine avrebbero debilitato anche la solidità di un monaco zen.
Le mie uscite pubbliche sono generalmente mirate e miranti alla congenialità. Un tempo portavo i miei problemi come cagnetti al guinzaglio, e li trascinavo ovunque, scriteriatamente perchè ero giovane e pensavo da giovane.
Immersa per un attimo nella penombra di un anfratto di quel luogo in cui mi sono sentita veramente fuori luogo, ho pensato ai miei ultimi dieci anni di vita, e ho provato una breve ma intensa sensazione di panico.
Fino ai quaranta ti senti giovane e, quel che è peggio, ti ci fa sentire la gente che ti passa accanto o che ti ruota intorno.
Quando arrivi al giro di boa del mezzo secolo diventi più severa verso i tuoi impeti spesso immutati. Magari lo specchio ti restituisce un’immagine ancora gradevole, ma dentro inizi a sentirti spaesata un po’ ovunque. Perchè non sei più abbastanza giovane per, ma non ancora tanto vecchia da. E fluttui in uno strano limbo in cui osservi i giovani veri e quelli che vi si atteggiano, e preghi il dio delle figure edificanti che a te non capiti mai di renderti patetica scimmiottando le belle ragazze che vedi in giro, attive e giustamente ammirate.
Ti ripeti che ogni età ha i suoi pregi, ma sai bene che è una balla, e che invecchiare è uno degli eventi ineluttabili che detesti di più. Perchè dentro hai ancora voglia di sentirti viva, magari non solo quando ti dai una mano di rossetto o regali a tua nipote quella maglietta stretch acquistata in un attimo di obnubilamento mentale.
E proprio tu, inspiegabilmente attratta dagli uomini più giovani praticamente da quando, diciassettenne, avevi preso una sbandata per un ragazzetto di quattordici anni amico di tuo fratello, adesso dici a te stessa con fermezza che è giunto il momento di farla finita.
Che l’ultimo amante, che ti piaceva chiamare amore, aveva ben quindici anni meno, ed una faccia tanto presa da sembrare estatica. Poi ti chiedi che espressione avrebbe, quella faccia, se ti vedesse oggi, cioè cinque anni dopo.
E ti rispondi che è giusto lasciare i sogni agli adolescenti, che di occasioni ne hai sprecate tante, ma che se rinascessi con la consapevolezza che hai adesso, magari…
Intanto il locale si va riempiendo di ragazzi che si affollano intorno ai tavoli da biliardo, o che sciamano verso le piste del bowling.
E, dispiace dirlo, vorresti essere uno di quei birilli buttati giù dalla violenza di una palla clemente.
Giusto un attimo: ti riprendi e riprendi a parlare con le coppie sedute al tavolo con te, una delle quali è formata da un uomo e una donna che hanno quasi la tua età, oltre che un figlio appena più grande del tuo e gli stessi problemi del gap generazionale.
Beh, dopotutto non è colpa tua se ti sei sposata “tardi” e se sei diventata mamma a trentaquattro anni. Oggi i figli li fanno a quaranta e si sentono anche belle, giuste e per niente out of time.
C’è che il tempo passa, che quei due seduti di fronte invecchieranno insieme ed insieme affronteranno problemi o gioie possibili. Magari in certi momenti avranno voglia di pestarsi a sangue, ma con-divideranno esperienze e decadimento.
Tu, invece?
Tu realizzi che hai un severo sfasamento temporale, e che se non riesci a fartene una ragione dovrai fartene un’altra: che stai invecchiando, che non c’è scampo e che se non accetti l’inevitabile invecchierai anche male.
Americano.
Mio padre, classe 1920, si chiede il perchè della diffusione di questo genere di posti.
“Non c’è un perchè e nello stesso tempo ce ne sono tanti, pater. Siamo oramai coloni felici, o assuefatti.
Serbiamo giusta gratitudine per i morti dell’aprile del ’45, perchè il sacrificio anche di una sola vita umana merita memoria imperitura. Siamo ancora Alleati, oltre che amici, e va bene così, ma l’identità…”
A volte ho dei blandi rigurgiti di spirito europeista, anzi decisamente italiano. Poi mi dico che oramai il mondo va come deve andare, e torno a preoccuparmi dei minimi sistemi che per me sono massimi: del quantitativo totale delle birre che beve mio figlio, lui che della birra non sopportava neanche l’odore, dei miei giorni minuti, del bilancio familiare da far quadrare e, dulcis in fundo, dello sforzo costante di mantenere i rapporti fra i miei conflitti interiori in uno stato di tregua.
Dovremmo essere vicini alla quiescenza, mi dico per convincermi. Trent’anni di lotte intestine avrebbero debilitato anche la solidità di un monaco zen.
Le mie uscite pubbliche sono generalmente mirate e miranti alla congenialità. Un tempo portavo i miei problemi come cagnetti al guinzaglio, e li trascinavo ovunque, scriteriatamente perchè ero giovane e pensavo da giovane.
Immersa per un attimo nella penombra di un anfratto di quel luogo in cui mi sono sentita veramente fuori luogo, ho pensato ai miei ultimi dieci anni di vita, e ho provato una breve ma intensa sensazione di panico.
Fino ai quaranta ti senti giovane e, quel che è peggio, ti ci fa sentire la gente che ti passa accanto o che ti ruota intorno.
Quando arrivi al giro di boa del mezzo secolo diventi più severa verso i tuoi impeti spesso immutati. Magari lo specchio ti restituisce un’immagine ancora gradevole, ma dentro inizi a sentirti spaesata un po’ ovunque. Perchè non sei più abbastanza giovane per, ma non ancora tanto vecchia da. E fluttui in uno strano limbo in cui osservi i giovani veri e quelli che vi si atteggiano, e preghi il dio delle figure edificanti che a te non capiti mai di renderti patetica scimmiottando le belle ragazze che vedi in giro, attive e giustamente ammirate.
Ti ripeti che ogni età ha i suoi pregi, ma sai bene che è una balla, e che invecchiare è uno degli eventi ineluttabili che detesti di più. Perchè dentro hai ancora voglia di sentirti viva, magari non solo quando ti dai una mano di rossetto o regali a tua nipote quella maglietta stretch acquistata in un attimo di obnubilamento mentale.
E proprio tu, inspiegabilmente attratta dagli uomini più giovani praticamente da quando, diciassettenne, avevi preso una sbandata per un ragazzetto di quattordici anni amico di tuo fratello, adesso dici a te stessa con fermezza che è giunto il momento di farla finita.
Che l’ultimo amante, che ti piaceva chiamare amore, aveva ben quindici anni meno, ed una faccia tanto presa da sembrare estatica. Poi ti chiedi che espressione avrebbe, quella faccia, se ti vedesse oggi, cioè cinque anni dopo.
E ti rispondi che è giusto lasciare i sogni agli adolescenti, che di occasioni ne hai sprecate tante, ma che se rinascessi con la consapevolezza che hai adesso, magari…
Intanto il locale si va riempiendo di ragazzi che si affollano intorno ai tavoli da biliardo, o che sciamano verso le piste del bowling.
E, dispiace dirlo, vorresti essere uno di quei birilli buttati giù dalla violenza di una palla clemente.
Giusto un attimo: ti riprendi e riprendi a parlare con le coppie sedute al tavolo con te, una delle quali è formata da un uomo e una donna che hanno quasi la tua età, oltre che un figlio appena più grande del tuo e gli stessi problemi del gap generazionale.
Beh, dopotutto non è colpa tua se ti sei sposata “tardi” e se sei diventata mamma a trentaquattro anni. Oggi i figli li fanno a quaranta e si sentono anche belle, giuste e per niente out of time.
C’è che il tempo passa, che quei due seduti di fronte invecchieranno insieme ed insieme affronteranno problemi o gioie possibili. Magari in certi momenti avranno voglia di pestarsi a sangue, ma con-divideranno esperienze e decadimento.
Tu, invece?
Tu realizzi che hai un severo sfasamento temporale, e che se non riesci a fartene una ragione dovrai fartene un’altra: che stai invecchiando, che non c’è scampo e che se non accetti l’inevitabile invecchierai anche male.