Vagolando, disconnessa

Lo pensereste mai che il sole può sembrare, a volte, un’inutile resistenza per enormi girarrosti, una lampada agognata ma impietosa che ci illumina, ma solo in superficie?
Lo so, sono ingrata e lagnosa, ma provate a fidarvi di me, e a credermi.
Per alcuni l’estate è la stagione del riacutizzarsi dei malesseri di gruppo, quelle nevrosi tenute sotterranee che, come per un maleficio, si ridestano tutte insieme e mettono gli uni contro gli altri, a guardarsi in cagnesco.
E il pretesto, a volte, è veramente risibile.
La coabitazione forzosa negli stessi àmbiti, seppur separati da scale esterne e giardini, è il detonatore di una serie di micce a scoppio diacronico: non sai mai quando ti toccherà saltare di proposito, per evitare di rimetterci un pezzo.
D’altronde pensare di andare per altre spiagge in questi tempi di vacche molto magre sarebbe uno spreco inutile, oltre che uno schiaffo a chi non può permettersi nemmeno una giornata al mare dietro casa.
E così si abbozza, cercando di ritagliarsi spazi di relativa autonomia, e un po’ di respiro.
The same old story.
Magari quest’anno ci sono state un paio di varianti assolutamente impreviste, anche se di veramente imprevisto, oggi, non c’è più niente.
A volte ho la sensazione di essere, come tutti, uno dei cavallini sagomati di certi tiri a segno: scorrono stanchi uno dietro l’altro, in attesa del colpo che li butti giù.
Quindi son ritornata al sole, timidamente, dopo la febbre di ieri. Tutto sommato sto bene: mi reggo in piedi e sorrido secondo necessità.
Non è star bene, questo?
Ok, forse è solo adattarsi, ma adattarsi è imparare a sopravvivere.
– Voglio un fidanzato giapponese.
Le due donne mi guardano. E’ che sono emersa, ex abrupto, dalla barriera di note musicali di cui mi circondo ogni giorno.
– Perchè proprio giapponese?
– Perchè forse i giapponesi sono più sinceri, educati e perbene di noialtri. E poi sono belli. Cioè, se sono belli, lo sono davvero.
– Prendiamo atto.
E chi lo sa. Magari sogno anch’io un Rinri che mi prepari la fonduta svizzera col formaggio di plastica, e che mi canti l’amore sotto un ciliegio, di notte. Che mi accompagni ad Hiroshima a comprare quintali di salsa alle prugne amare e che venga a prendermi a casa con una mercedes bianca, in rispettoso silenzio.
Il mio koibito.*
Ryuichi Sakamoto – Rain