E di nuovo cambio casa, come cambiano le cose.
Entrai per sbaglio in questa dimensione parallela nel lontano 2001. Ero separata da poco e imparai ad usare il pc per autentica disperazione.
Allora mi facevo chiamare kali, al tempo delle chat irc, o come diavolo si chiamavano.
Mi costruii anche la mia stanza, chiamata #abiteròmestessa per tenere fede ad un proposito nato durante una seduta di psicoterapia.
Purtroppo io non mi abito, e non abito.
Sono in questa casa che a volte mi pare senz’anima, di fronte a questo monitor che per me non ha più il significato salvifico di una volta.
Di quando, una sera sul tardi, comparve sulla mia pagina un folletto veloce e pieno di energia.
Si chiamava Serendip, e sulle prime mi parve parecchio strano.
Non gli diedi un gran peso, presa, com’ero, dai miei problemi veri.
Pian piano lui riuscì a fare breccia nel mio cuore, finchè lo ebbe fra le mani.
Kali e Serendip. Come Mirna Loy e William Powell, come Minnie e Topolino.
Un videogame. Siamo stati gli interpreti di un videogame che io, ad un certo punto, ho pensato potesse diventare realtà, come in certe favole incredibili.
Chi mi segue da anni sa che questa follia del trasloco compulsivo oramai fa parte di me.
Ma arriva il momento in cui bisogna spegnere la console, anche perchè kali è rimasta sola, ad interpretare un ruolo che oramai le sta stretto, e Serendip l’ha indotta a voltargli le spalle perchè così fanno gli eroi, no?
Io non sono vera, e voi non lo siete.
Conosciamo, reciprocamente, degli aspetti che ci fanno intravedere quella che potrebbe essere la realtà, ma la realtà appartiene al mondo di chi si tuffa nella vita ogni giorno: abbracciando, baciando, stringendo mani, magari frantumando setti nasali con un souvenir di quarzo.
Tutto ciò che rimane al di là del monitor è recita, anche se l’attore è animato da intenzioni sincere.
Per cui, alla fine del gioco, è bene che anche kali si eclissi. kali con i suoi cento nomi e le fughe necessarie.
Lui non mi legge più.
La cosa non mi spezza il cuore, ma mi fa capire che si è chiusa un’era, quella dei sogni a quarant’anni: i più pericolosi.
Lascio il blog di servizio per quelle due cose che magari, un giorno, mi verrà in mente di comunicare.
Il resto si ferma qui, almeno finchè non sarò in grado di tornare ad essere nicoletta.