We are spirits in the material world

Ho perso dei pensieri importanti mentre ero inchiodata a lavarmi i denti.
Se hai la bocca piena di schiuma alla menta non puoi correre come una matta alla ricerca di un pezzo di carta che testimoni al mondo che tu, sì, tu che ti stai guardando allo specchio con un’espressione ebete, hai avuto un’idea finalmente logica e conseguenziale alle idee che avevi prima, e propedeutica a quelle che, presumibilmente, verranno.
E’ che ho passato anni a credere di essere stata ingannata dagli altri, mentre ero io ad ingannare me stessa, recitando inconsapevolmente la parte dell’indifesa, del cappuccetto rosso di turno che non si aspetta che i lupi cattivi possano esistere anche fuori delle fiabe.
E ciò sarebbe risibile, se non fosse intessuto di tragicità. O, magari, viceversa.
Che persona sono diventata se non mi stupisce più nulla?
Esistere per se stessi (scrivo se stessi senza accento convinta che sia giusto così) dovrebbe bastare: ma chi siamo senza un pubblico al quale parlare di noi, del nostro cuore fatto a pezzi con un machete, delle nostre aspirazioni espirate come fumo al finire della notte?
Ho asciugato la bocca e mi sono guardata negli occhi: la pelle presenta dei piccoli cedimenti ma sostanzialmente tiene.
Guardando delle vecchissime foto mi sono accorta, con enorme stupore, che avevo i solchi nasogenieni già a quindici anni. E anche le rughette di espressione intorno agli occhi, a causa di una mimica facciale che solo ora sta lasciando il posto a lunghe parentesi in cui ho la stessa espressione di una statua di cera.
Ho una bella brutta faccia senza tempo.
Avere una maschera del genere vuol dire essere condannati ad una giovinezza tanto lunga quanto inutile e, nello stesso tempo, essere nati vecchi.
Ricordare di aver detto “se tu avessi la mia età” a sedici anni, non rendendosi conto di aver lasciato la gente sconcertata e perplessa.
Ho una bella pelle.
E dire che ho potuto iniziare ad usare creme cosmetiche intorno ai trent’anni: prima ero vittima di tante e tali dermatiti che ero convinta avrei usato il temetex fino alla fine dei miei giorni.
Poi rimasi incinta, e quel bambino mi guarì per sempre dalle chiazze rosse che mi fiorivano sul viso, quelle brutte chiazze che squamavano, dandomi l’aspetto di un animaletto dalla faccia pezzata.
A volte anche un fugacissimo sguardo allo specchio mette in moto meccanismi che sembravano essere solo in attesa del la.
Se adesso ci fosse il mio amico più caro, scoppierebbe a ridere esclamando:” ma che palle, nic. Tu pensieri normali mai, eh?”