Mi sono scocciata di quello che scrivo, forse smetto e inizio a parlare di calcio.

All’improvviso voci e volti del passato si sono incontrati in me, piazza solitaria, spazzata dal vento freddo di gennaio.
La giovane professoressa di latino e greco,  pannelliana, look tardi anni ’70 nei tardi anni ’70, guardava con tenerezza la ragazzina tirata fuori dal collegio: tosta ma timida e troppo, troppo beneducata. Ai limiti della repressione della vitalità.
Si trovarono simpatiche: si piacquero.
La ragazzina non sapeva che nelle loro vene scorreva lo stesso sangue: forse lo aveva sentito a pelle.
Un anno di incarico, un anno di empatia e confidenze. Poi un’altra insegnante, quella dell’ultimo anno.
Per un curioso scherzo del destino il tritacarne facebook, dopo trentatrè anni, ha messo l’ex ragazzina sulle tracce della giovane prof. radicale, con i pantaloni a zampa,  le sciarpone al collo e gli occhialini sul naso affilato.
– ma è lei? cristosanto, è lei?
Chiede conferma, e la ottiene.
La giovane professoressa radicale è una donna di sessantadue anni, provata da lutti recenti.
Veste come una missionaria, è diventata credente ai limiti dell’idolatria: fra i suoi tanti contatti suore, preti, associazioni mariane  a decine e decine.
L’ex ragazzina si è accorta di avere gli occhi pieni di lacrime guardando le foto di quella signora vestita come una missionaria.
Lei, che a cinquantun’anni ha gli occhialini sul naso a patata, lo stesso caschetto liscio e chiaro che aveva la prof,  lei che si avvolge in sciarpe e pashmine enormi. Lei che non crede più in niente.
Le figlie di due fratelli naturali si sono reincontrate per caso: specchi al contrario, treni paralleli  volti in direzioni opposte.
Il mistero di vite che si incrociano e tornano a sfiorarsi dopo anni ed anni è una cosa che commuove, e scuote, e spaventa.
Il mio relativismo fortemente voluto mi spiega che i miei occhi segnati, non belli ma profondi, sono uguali a quelli della donna che è stata mia zia, ma per caso.
Già cieca da una vita per avvelenamento da chinino, mi intravide una sola volta insieme a tutta la classe, noi al ritorno da uno spettacolo teatrale all’Orfeo, lei nella sua casa tarantina che sapeva di cose andate, di vaniglia e di ricordi pesanti come pietre.
Aiutata dalla figlia più piccola ci offrì dei pasticcini, poi si scusò bruscamente e sparì al di là di una grande porta chiara.
Sapevo chi fosse quella donna mezza cieca per amore: la guardai sparire e non la rividi mai più.
Era la crocerossina che nel settembre del ’43 passava i ferri e le garze, in silenzio, al giovane medico, suo coetaneo e fratello, nella scuola del paese, adibita ad ospedale di fortuna.
E’ o non è questa, la vita?