La mia esistenza va a scatti, come la crescita riottosa di certi bambini. Vivo, vivo intensamente, e poi mi affloscio su me stessa, e m’appanno come un vetro sporco.
In questi momenti di snodo mi capita di sognare scenari magnifici, o tremendi.
E poi allegorie e simboli, e rimescolii dell’ inconscio.
Ho visto dei commessi vestiti di rosso che portavano, tirato per le estremità come un povero cristo, un uomo che aveva la testa rovesciata all’indietro. Ero bloccata sul marciapiedi, e non ero sola.
Avrei voluto dir loro di chiamare un’ambulanza, ma ero muta. Son ripassati dopo un po’, mentre il mio interlocutore invisibile mi intratteneva con parole di vento.
Ho capito che erano lì a girare in tondo come sciocchi, trascinandosi dietro un morto.
Ho voltato la testa per non guardare, e ho visto una donna che stava partorendo sull’asfalto.
Sono riuscita a muovermi, a lasciarmi dietro l’interlocutore invisibile, e sono arrivata in tempo per vedere un bimbo venir fuori come un proiettile dalle gambe spalancate di quella donna bella e oscena, che mi ha guardata, mentre soccorrevo il suo piccolo, e mi ha detto che ero un’ingenua, che quella nascita era solo una finzione, e mentre io, al rallentatore, prendevo fra le mani quell’esserino sporco di sangue, lei mi mostrava una finestra, di fronte, e mi parlava del suo uomo nascosto dietro le persiane: il suo complice.
I fotogrammi dei sogni sono diacronici, surreali, inquietanti.
Ti proiettano ovunque in un attimo, ti scaraventano da una vita ad un’altra.
Così di colpo sono con un amico blogger, un amico molto caro, che cerca di sistemarmi la sua giacca sulle spalle.
Forse ho freddo. Forse, inconsciamente, gli ho chiesto solo di venirmi vicino.
Lui, che nella realtà è gentile e premuroso, nel sogno non tradisce le aspettative, e si avvicina. Ne approfitto per stringerlo a me e baciarlo, anche se intuisco la presenza ostile di suo padre.
Nello stesso tempo bacio una mia cara amica d’infanzia, che non vive qui da anni.
E tutto è straordinariamente naturale.
Mi sembra naturale anche dirne a voi, dalle pagine virtuali della mia segheria mentale.
Eppure nella vita viva sono sempre impacciata e a disagio: una che chiede scusa a prescindere dal motivo per il quale dovrebbe scusarsi.
Seppur attratta da Freud l’ho sempre contestato, per l’aver voluto ricondurre ogni istanza ad un’unica origine.
Io credo che il nostro lato oscuro sia molto più articolato e complesso, ma a quell’uomo paterno e barbuto sento comunque di dovere qualcosa.
Anche solo mezzo fotogramma di un mio movimento rapido degli occhi.
Il dipinto è di Enzo de Giorgi