Luca, 24, 13-35
Una sorta di prefazione aveva provocato in me uno scoramento assoluto, concomitante all’arrivo di alcuni libri acquistati on line.
Mi son detta, però, che fosse il caso di portarmi un po’ avanti nella lettura prima di emettere un giudizio.
Una sensazione di riconoscimento nelle parole lette mi ha legata e stregata, portandomi a figurare i personaggi, comparati a quelli della mia adolescenza.
Come il protagonista principale ho conosciuto anch’io un mondo parallelo, di persone parallele: universo del quale facevo parte senza farne parte davvero.
Avevamo gli stessi problemi e manie generazionali, ma la loro disinvoltura urtava le nostre abitudini derivanti da un’educazione un po’ moralista, permeata di uno spirito che si voleva fosse religioso, ma che in realtà era solo inutilmente abitudinario e ossequioso di certi dettami e certe regole.
All’occasionale intersecarsi dei due universi comparve Giorgio, destinato ad una fine tragica come i ragazzi di Emmaus.
Di lui avrò sempre un’immagine: i capelli lisci, biondi e sottili, il sorriso un po’ timido, contro il sole del tramonto di un’estate lontana, mentre cambiava i dischi e mi chiedeva se mi piacesse Baglioni.
Ricordo anche (Baricco avrebbe scritto anche ricordo) le dicerie sui genitori di quei ragazzi, le favole che parlavano di orge, festini, scambi di coppie e droga a gogo.
Ho sempre pensato un gran male degli untori, essendo propensa, un tempo, a scorgere naturalmente il bello e il buono in ogni cosa.
Prima che la vita facesse di me quello che sarei diventata già dieci anni dopo.
Gli adolescenti di sempre mi fanno paura.
Hanno dentro una carica e una forza che possono diventare distruttive, laddove il male lo fanno ad altri, o a se stessi.
E il potenziale protervo è frammisto alle ultime frange di un’infanzia strappata dall’urgenza di vivere.
Senza sapere niente della vita.