Dharma

Quando voglio riconnettermi con quella che sono stata accendo il faretto in cucina: quello che illumina la zona operativa.
Lo montò il mio ex marito con le sue manine sante: io mi incantavo guardando quella luce vagamente azzurrata, e immaginavo una coppia parallela alla nostra e una fruttiera colma di uva scura.
Ho sempre avuto in mente, e son passati quindici anni, questa strana associazione di idee: faretto azzurrato della cucina, coppia di amici, uva nera.
Ci eravamo appena trasferiti in questa casa: l’unno aveva poco più di due anni.
Se ognuno di noi potesse vedere il suo futuro riflesso in un bicchiere d’acqua non ci crederebbe: penserebbe di aver avuto un’allucinazione.
Da allora sono così cambiata che fatico a riconoscermi, quando mi guardo allo specchio, e non sto parlando dell’espetto esteriore che, a parte qualche chilo in più, non si è ancora stravolto.
Dentro non sono più la stessa.
Crescere implica un distacco sofferente da quello che eravamo, o che credevamo di essere, o che eravamo solo in parte o per niente.
La mente è straordinaria: riesce ad immagazzinare anni ed anni di ricordi ora confusi, ora nitidi, stoccati in uno spazio praticamente senza fine.
E con i ricordi si allineano le emozioni, i sentimenti, gli attimi di gioia e gli anni infelici.
Finchè, pian piano, un bel giorno ci si rende conto di aver imparato ad accettare la propria vita con tutto quello che ha comportato: fallimenti compresi.
E si impara a rialzarsi e a fare attenzione a dove mettere i piedi.
Che non è guardare al futuro, ma andare avanti perché si deve.

Stefano Bollani – Un giorno dopo l’altro