Una scorpacciata di strade segnate in un elenco.
Strade dai nomi altisonanti, o convenzionali. A volte senza un senso che paia logico.
Strade da guardare sulla carta con quattro occhi e due cervelli: immaginandone l’aspetto, l’affaccio delle case, la gente che passa nel momento in cui un pensiero, unidirezionale, si è mosso in quel senso.
Strade-vita.
Strade-indifferenza.
Strade-speranze morte.
Io conosco le strade che percorro, e immagino quelle che vorrei calpestare.
Io immagino (io io io) a vuoto, e a vuoto giro.
Senza motivazioni. Senza benzina.
Fatico ad accettare l’idea dei volti che passano veloci accanto al mio,
senza fermarsi per il tempo necessario, senza fermarsi quanto io avrei voluto.
In marcia senza sosta verso un luogo lontano da me.
Senza ritorno.
without
9 pensieri riguardo “without”
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è la stessa paura che ho io
che qualcosa mi sfugga
che qualcosa di importante scorra lontana da me, senza che io riesca ad afferrarla
La mia sensazione è di aver perso svariati treni.
E ora mi ritrovo da sola ad aspettare in una stazione dove non passano più treni.
Ma io resto ad aspettare.
Non si sa bene che cosa.
Dalla mia stazione passa solo qualche locale. Raramente. Il personale viaggiante lo hanno ridotto all’osso; mi sa che siamo in molti in questa situazione: però aspettiamo in piccole stazioni diverse e non credo che la solitudine aiuti l’attesa. L’unica cosa che posso sperare è che nel nuovo mondo dove prima o poi sbarcheremo il mezzo di locomozione sarà il somaro o i piedi. Chissà che finalmente non ci sentiremo dei privilegiati che non hanno atteso invano.
La spiegazione di questo commento da qui ( ammesso che ce ne sia una valida) si trova su radioLondra.
Ed è una gran brutta paura, Agnese. Che fa il pari con il passare inesorabile del tempo.
Mi sa che stiamo aspettando insieme il chissà cosa in stazioni diverse, Maria: i treni persi non si contano più. E qualcuno era davvero importante.
Guarda, prima di leggere il tuo commento ho appena scritto anch’io di piccole stazioni distanti una dall’altra, dove si aspetta invano qualcosa, o qualcuno, che non arriverà mai, o che non tornerà.
Se non altro andare a piedi ci permetterebbe, forse, di essere in qualche modo obbligati a confrontarci con altre solitudini.
Troppo spesso siamo costretti a sentirci “doppiati”, a farci superare e a lasciare che ci passino accanto senza un saluto o un indugio… Ma che ci possiamo fare, noi? Noi accoglieremmo i passanti a braccia aperte, ma forse sono i passanti stessi a coprirsi gli occhi e a tirare avanti… Non è colpa nostra. Ma almeno va ricordato che chi non accetta il nostro tesoro, non merita questa ricchezza…
Un bacione,
Paola
Se mi posso molto umilmente permettere aggiungerei all’elenco “strade – illusioni ” e “strade – speranze mai nate”. Lascio a te però l’ultima parola sull’approvazione di queste due nuove categorie :-)
Chiave di lettura interessante: chi non ha a cuore le nostre attenzioni, o l’amicizia che offriamo, fa bene ad allontanarsi: noi vivremo lo stesso.
Un bacio, Paola. :*
Daniele, ti puoi permettere eccome. ;)
Anche perchè quello che hai scritto è giusto.
Bacio.
Ho letto con grande piacere il tuo articolo e anche i commenti.
Questa è la mia prima visita e non vorrei fare subito la figura del rompiballe, ma per quel che ho fin qui forse capito (ma anche no) il nostro ruolo e le nostre attitudini sono quasi sempre determinanti per l’insorgere di una situazione.
Per varie ragioni, di solito paure, siamo noi che mettiamo cartelli di divieto. O proprio non vogliamo vedere.
Oppure stiamo tutti ad aspettare in un’unica stazione, senza accorgerci che accanto a noi ci sono altre persone. Pensando piuttosto che queste saranno sole, come noi, in altre stazioni.
Siamo noi che costruiamo le stazioni.
Ci vuole più coraggio di quanto pensassi per cercare di vivere pienamente, ma così è infinitamente più “vero”.
Ciao, pastadipestodirospo (ma è uno scioglilingua??), benvenuto.
Hai ragione: vivere è estremamente difficile, e cercare di farlo pienamente è quasi una sfida “ai confini della realtà”.
Per me.
Hai anche ragione quando scrivi che spesso siamo noi a mettere paletti e divieti. D’altronde quando si arriva a certe strategie di difesa vuol dire, di solito, che si è presa una gragnuola di colpi sul muso. E si ha paura.
E ci si pianta da soli in stazione, magari al freddo, pensando di aver sbagliato tutto.