Caro maestro,
a volte mi capita di pensare al tempo vissuto insieme, quando la speranza di costruire era autentica e sentita.
Checchè abbia finto di pensare tu, checchè abbiano finto di pensare i novelli inquisitori che, dipendesse da me, se ne andrebbero tutti a zappare allegramente: almeno lavorerebbero, e pure all’aria aperta.
I ricordi sono sempre in agguato, per quelle malfatte come me: noi non siamo brave a lasciar passare attraverso un colino quello che non serve: l’inutile zavorra affettiva che, alla fine, è solo zavorra o, meglio, la palla al piede dei carcerati di una volta.
E non siamo brave soprattutto a tenere custoditi in un cassetto quei flash che, ancora, ci riempiono gli occhi di lacrime per il fatto di non essere riuscite a mettere in salvo almeno le piccole persone inconsapevoli che abbiamo messo al mondo, convinti di fare famiglia.
Ho ancora in mente lo svuotamento graduale della tua parte di armadio, i libri ordinati in scatole di cartone, la pianola appoggiata alla parete accanto alla porta d’ingresso: smontata pezzo per pezzo e portata via con il nostro progetto in frantumi, e il visetto di chi, nonostante fosse piccolo, aveva capito tutto.
Ho provato a svoltare, come hai fatto tu, ma noi due siamo sempre stati molto diversi.
Opposti, direi.
Questo lento e lungo rosario di anni ha messo me di fronte a me stessa, consentendomi di comprendere i miei errori e l’oggettiva difficoltà di vivere accanto ad una donna “un po’ sopra le righe”.
Mi chiedo se anche tu ti sia sottoposto al massacro di un’autoanalisi ferocissima; alcuni elementi mi farebbero propendere per il sì, nonostante qualche anno di rigidità e mutismi (da parte mia), perchè continuavo a sentirmi “sotto esame” nonostante fossi ormai una donna libera, e tu un uomo felicemente risposato.
D’altronde dovresti ammettere, serenamente, di essere il tipo che giudica e punta l’indice contro chi non è sulla sua lunghezza d’onda.
Sai che la mia fede in Dio, vacillante dai tempi della mia primissima adolescenza, si è lentamente trasformata in una sorta di agnosticismo che, più che altro, pare indifferenza allo stato puro.
A volte è capitato anche a me di rivolgermi ad un’Entità immateriale, ma mai per chiedere: piuttosto per ringraziare.
Poi ho sistematicamente detto a me stessa che se mi fossi rivolta ad un’arancia sarebbe stata la stessa cosa.
E’ che i dogmi non riesco proprio a digerirli, così come non sopporto le anime belle che si permettono di giudicarmi perchè, (mal)educata in un collegio di prestigio, sarei dovuta diventare l’esempio della cattolica perfetta.
Quanti errori, caro maestro, molti dei quali del tutto indipendenti dalla mia volontà.
Però, tu m’insegni, piangere (sul latte versato) e rimpiangere (quel che non esiste più) è controproducente e dannoso.
Fino ad ora, e son passati tanti anni, ho provato a ricostruirmi su nuove basi, ma i risultati sono sotto gli occhi di molti.
Stasera il figliolo è tornato all’università e, prima di andare via, baciandomi ha detto, più o meno testualmente:” mamma, non tutto è perduto, hai ancora tanta strada davanti”.
L’ho preso come un augurio, perchè nessuno, come un figlio, può volere che tu sia felice, e non certo per egoismo.
Onestamente non so se ho fatto bene a scrivere queste parole, ma sai che dico esattamente quello che penso, e che stanotte, all’una circa, i pensieri mi sono scaturiti dentro “motu proprio”, come i documenti e le concessioni emanate da re e papi, sai che bello.
Il mio “piccolo mondo antico” è tenacemente custodito dentro di me, con le sue prime luci di speranza e il triste epilogo.
Adesso, cosa importantissima, mi alzo e vado ad ingollare un paio di compresse di pantoprazolo, visto che lo stomaco si è ribellato vivacemente.
E, se esso non si cheta, io posso solo sognare di chiudere gli occhi.
Giuro solennemente di non lasciarmi più andare a scritti che, spero, non siano risultati un po’ melensi.
Ci ho messo dentro solo i miei pensieri un po’ tristi ma quieti, e la consapevolezza che Eraclito non era un povero imbecille.
Adesso vado davvero: gli inibitori della pompa protonica mi aspettano, ed io anelo ad essi.
Stai bene.
N.
” mamma, non tutto è perduto, hai ancora tanta strada davanti”.
:” mamma, non tutto è perduto, hai ancora tanta strada davanti”.
Oh, finalmente leggo un nome vero.
C’era il caldo giusto, quello di agosto in Sicilia: fermo, di pombo, il cielo azzurrissimo come il mare. E la testa vuota, anzi svuotata e messa di lato per non soccombere.
La situazione era ormai definita – Ti lascio, non sei quella che pensavo e non posso costruire niente con te!- Che vuoi dire? – Che non ti voglio più come moglie, me ne vado- Bene. però voglio la casa!-
Diciannove anni fa, tornai nello studio dove esercito la professione: poco alla volta vi riportai i quattro stracci di un uomo solo. Il pomeriggio di settembre in cui entrai per l’ultima volta nella mai ex casa, quando arrivai sulla porta di ingresso con tre pantaloni posati sulle spalle, dietro mai moglie terrea in viso, imbarazzata, comparve Claudio il mio primogenito, allora aveva sei anni, mi guardò e mi disse – dove vai papà?….Già dove andavo.
Non sono mai più riuscito a riprendermi. Mai più. Non sono pentito ma la ferita come uomo e come padre non si è mai rimarginata Nico.
Troppo melenso? Vero e basta ed io non ho maestri, nessun farmaco a proteggere le ulcerazioni della vita.. Troppo melenso? Non ha nessuna importanza, nessuna, eri tu, sei tu e che il mondo si fotta.
Mi dispiace scrivertelo ma certe cose si perdono per sempre. la strada poi dura quel che dura ma non è la stessa. Ti voglio bene Nico
L’ha ribloggato su Astrazioni e distrazionie ha commentato:
Mi ha fatto male leggerlo, le storie comuni non danno quel senso di pace del “mal comune mezzo gaudio”. Lo ribloggo per giustizia esistenziale, per comunanza di dolore e di vita, per i sogni spezzati e per tutti gli errori che non avremmo mai potuto evitare.
Quelli che puntano l’indice. Quanti danni, quanto dolore, quanta arroganza.
Lasciano solchi per anni. Però mi sembra sia ora di cancellarli, quei solchi :)
Ciao Enzo, mi consola, in qualche modo, sapere che non sono l’unica imbecille (scusa, in realtà mi riferisco essenzialmente a me stessa) a non aver superato questo strappo. Che, come affermi anche tu, non è uno strappo da poco.
Di quei giorni tutto, ma proprio tutto rimarrà scolpito nella nostra memoria.
E noi non saremo mai più gli stessi.
Arroganza, Ederlezi. Saccenza e grande sicumera.
Soprattutto se l’indice è puntato contro chi lotta per costruirsi un minimo sindacale di autostima.
Dici che ce la posso fare a cancellare tutto? O_O