L’uomo, rozzo nell’aspetto ma gentile, frena la mia falcata meccanica e distratta.
– Signora, non entrate (al sud usa ancora il “voi”), l’ufficio non funziona perché non c’è elettricità. L’Enel sta lavorando qua dietro.
Lo guardo, lì per lì senza capire: mi ha colto alla sprovvista.
Guardo le porte chiuse ed alcuni impiegati che chiacchierano in piccoli gruppi sparsi, poi torno a guardare lui.
Penso di avere un’aria stralunata: se non fosse per gli impiegati fuori penserei ad una burla senza senso.
Mentre, finalmente, afferro il concetto e provo a sorridere, ringraziando, gli occhi si incollano ad una targa di ottone sul muro esterno del palazzo alle spalle dell’uomo.
Dunque son venuti a stare qui, gli avvocati.
Non lo sapevo.
Non mi interessa.
Saluto e devio, imboccando una strada in discesa che mi porterà a casa in pochi minuti.
Non so se tornerò a ritirare la raccomandata.
Non oggi.
Al momento mi sembra più importante dare un’altra leccatina alle ferite, piuttosto che pensare al balocco che, forse, distoglierebbe i miei pensieri fissi e asfittici in un barattolo di vetro.
Magari tra un po’ proverò a forzarmi: male che vada tornerò indietro un’altra volta, ma come posso ipotizzare un ritorno se non ho ancora deciso di andare?
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