C’era una volta l’estate.
Sì, lo so, arriva ogni anno, ma quella del 1975 c’è stata una volta e basta.
C’era anche una località balneare: piuttosto un paesello capitato sul mare per caso.
C’ero una volta anch’io e questa frase è credibile perchè, nel tempo, mi sono persa.
Insomma c’era l’estate del ’75, il paesello marino, un gruppetto di amici e un lido frequentato mattina e sera.
Mare poco, perchè si stava tutti seduti in cerchio ad ascoltare le canzoni del juke box, e a ridere come solo a quell’età si può, nonostante tutto.
Quell’estate al gruppo si aggiunse un quindicenne nuovo di zecca che aveva un nome, anche se noi lo chiamavamo con un altro.
E lui, timido e paziente, spiegava che il diminutivo lo usavano i suoi e che, perciò, potevamo fare lo stesso.
Era bello, aveva modi gentili e accattivanti nel contempo e sorrideva sempre, forse perchè era timido.
Abitava in una delle casette bianche vicino la ferrovia.
Una mia amica prese per lui una cotta solenne; io avevo il “fidanzatino” da poco, quindi potevo solo dirle che, essendo libera, avrebbe potuto parlargli.
Ricordando sorrido con un po’ di amarezza perchè ero la meno adatta a offrire consigli del genere.
Avevo appena lasciato per sempre un posto di suore nel quale mi ero fermata cinque anni, uscendone aliena.
Il ragazzo bello, che aveva un piccolo spazio fra gli incisivi superiori, era gentile anche con me; sicuramente molto più del “fidanzatino”.
Mi sembrava che avesse a cuore più il calcio che le ragazze;
d’altronde aveva due anni meno di me, che giocavo a fare la saputa.
Quando era con noi non si poteva non avvertirne la presenza perchè contrastava la timidezza con scherzi, gavettoni dal tetto del lido e furti ripetuti del mio Boxer (ciclomotore dell’epoca) con la complicità di mio cugino.
Non l’ho frequentato molto, ma ricordo distintamente che quando era insieme a noi tutto si animava, illuminandosi.
L’estate successiva andò più o meno allo stesso modo.
Oggi mi do della cretina per non aver cercato di conoscerlo meglio, di confidarmi con lui e di accogliere le sue confidenze.
Così, di punto in bianco, sparì.
I ragazzi che vivevano al mare anche d’inverno mi dissero che il padre era stato trasferito non so dove, per lavoro. E solo tanto, ma tanto tempo dopo scoprii che il “dove” non era molto lontano da qui.
Il fatto è che quando ci si perde ci si perde, e si potrebbe essere andati solo in un’altra provincia o in America: se non lo sai è lo stesso.
Poi passano gli anni, passano anche “fidanzati” ed esperienze di ogni genere.
Passiamo noi, inconsapevoli delle ingiurie del tempo.
Tempo fa qualcuno fece il suo nome, e a me venne la curiosità di cercarlo su facebook.
E c’era, ma non osai inoltrargli richiesta di amicizia perchè ero certa che non si sarebbe ricordato di me.
Poi con lui c’erano due bimbi: non mi sembrò il caso e tirai avanti.
Oggi mi chiedo che cosa sarebbe successo se, per caso, mi avesse riconosciuta.
il ragazzo dei treni
2 pensieri riguardo “il ragazzo dei treni”
I commenti sono chiusi.
Sarebbe successo quel che accade in questi casi, ovvero ti avrebbe riconosciuto e gli sarebbe piaciuto ricordare un tempo a suo modo felice. La gentilezza non si perde.
No, Willy, non si perde.