Le estati diverse, quelle contemplate solo come eventualità lontane e non necessariamente possibili.
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In uno dei miei balzi temporali a ritroso guardo la vetrata a quadretti della veranda dei miei, quella sotto cui giocavamo, bambini, prima che i grandi organizzassero il trasferimento al mare.
Ed erano corse gioiose lungo i balconi perimetrali della nostra casa: quella che ho sentito mia fino ai trent’anni.
Perché poi si va via, per lavoro o per amore, e tutto incomincia a cambiare impercettibilmente, nell’inconsapevole noncuranza che ci intorpidisce l’anima mentre siamo intenti a studiare strategie di adattamento a condizioni di vita che mai avremmo immaginato.
Noi e le nostre speranze un po’ vaghe.
Noi e i castelli in aria che, dannazione, dovrebbero essere banditi per legge.
Chiudo gli occhi: l’afa della sera di fine giugno è mitigata da un venticello gentile che muove appena i capelli, e asciuga il sudore buono che ha incollato gli abiti al corpo.
Fatica, fatica di amore; di quell’amore che non contempla voltafaccia, tradimenti, colpi bassi.
La strada che si snoda sotto i balconi perimetrali è lastricata di chianche come allora, mute testimoni di cadute prevedibili e calci a palloni malvisti da vecchiette che minacciavano buchi e sequestri.
Oggi è un’altra storia, un’altra vita, un altro mondo, personale e privato, nel quale continuiamo a recitare in buona fede, ad adeguarci a copioni in continua evoluzione.
Poco fa ho scattato alcune foto, camminando lungo il lungo balcone.
L’orizzonte, abbellito da palazzi ristrutturati, prova a convincermi che questa estate anomala tanto quanto le precedenti, anzi di più, non sarà prigione o asfissìa, nè catena corta che limita ogni movimento.
Non necessariamente.
Ogni fase, ogni esperienza hanno in serbo una lezione.
Sta a noi, solo a noi, trarne il buono, capitalizzare il dolore, imparare, finalmente, che tragedie e ilarità possono convivere pacificamente.
Purché ci sostengano la voglia e la forza di fare pace con noi stessi, di accettare quello che non possiamo rifiutare nemmeno con un “no, grazie” detto con garbo.
La vita non finisce mai, nemmeno quando crediamo di essere arrivati alla fine del tunnel.
Non si vede la luce in fondo?
Spesso è solo un’umanissima svista.
E le viuzze lastricate di vecchie cadute e buone intenzioni saranno sempre le mute guardiane del nostro passaggio attraverso questa parentesi che è la vita.
Più volte mi sono chiesto di te, ora uno scritto, intriso di come ti immagino e sento. Un po’ più avanti di tutto ciò che ti sta attorno e con un filo di attesa. Le attese servono sempre anche se molte deludono, tutte annunciano un tempo non ancora usato. Stai bene davvero, Nicoletta 😘
La vita, questa vita o le altre passate in giudicato finiscono Nicoletta. Solo lo scriverne le fa rivivere. Ma è un attimo. Non so dove stia il segreto dell’eternità eppure qualcosa qua dentro vibra, in questo che hai scritto c’è un’indecifrabile armonia che viene da lontano, dal profondo… Non sono sicuro che si tratti di una svista umanissima. Però leggerti mi rasserena e tanto basta.