lei, lui, l’aria

Lei non ama le feste; non le ha mai amate davvero.

Troppi ricordi agrodolci nel suo fardello di buone intenzioni con date di scadenza regolarmente disattese.

Quest’anno, poi, le ama ancora meno.

Lui vive da un’altra parte, con altre persone intorno.

Probabilmente finge un interesse che non ha. Recita un sentimento che non prova.

Si arrampica sugli specchi – a lei pare – in una specie di gioco funambolico che farebbe ridere, se non fosse intrinsecamente crudele; e lei non ha più voglia di scherzare. Soprattutto sulla pelle della gente. Soprattutto sulla sua.

Ha abbozzato, ha finto di credere alle parole bugiarde, disponendosi, stavolta, ad un ascolto di tipo limitato.

Parli pure, dica e racconti; annuirà, tanto al telefono le espressioni non sono rilevabili.

Le sovviene che l’indomani è la befana (sì, dice a suo padre col pensiero, deriva da epifaino, anche se il greco lo ricorda poco).

Tanti sei gennaio le sfilano davanti come soldatini di una collezione abbandonata all’abbraccio della polvere.

I primi, quelli di mezzo e gli altri, testimoni del Disincanto.

Si passa una mano su un ciuffo di capelli che non vuole saperne di stare al suo posto. Lo incastra fra l’orecchio sinistro e la stanghetta degli occhiali, porta il telefono sul lato destro della testa e annuisce, con un sorriso amaro, al suo uomo in fuga.

Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger. Potete trovare parole e partecipanti su “Verba Ludica”, al link http://carbonaridellaparola.blogspot.it

9 pensieri riguardo “lei, lui, l’aria

  1. Di fughe poco romantiche ne abbiamo vissute tutti e tutte. La fuga dell’altro da sé è può essere affrontata con furia cacciatrice, cercando di riconquistarlo, o attraverso l’amara consapevolezza che non esistono catene che possano trattenere chi è diventato di nebbia. Ma poi la nebbia i dirada, e si riprende a vedere ciò che ci circonda.

  2. Già. La fuga. Non ricordo in quale commento ho letto che nei nostri post la fuga è quasi sempre al termine dello scritto. Qualcosa che è connaturale all uomo per evitare pericoli, o supposti tali. ma anche per riprendere fiato e riflettete.

  3. I “lui” che girano sui tacchi e vanno via a volte sono una vera benedizione :) e un tipo così mi fa pensare questo.
    La tristezza che si sprigiona, oltre all’evidente dolore, deriva anche dalla rinuncia all’incanto…cosa che purtroppo, per istinto di protezione, anche senza accorgercene a volte, poniamo in atto.

    Piacere di aver fatto la tua conoscenza, di essere qui :)
    Buonissimo giorno :)

  4. Quando ti incrociai le prime volte in rete l’aura di una delusione profonda e di una innegabile sconfitta erano già presenti. Ma scherzavi di più, scherzavamo tutti di più. Non siamo diventati peggiori, siamo più seri, anche nella scrittura. La tua mantiene quella innegabile lucidità sintattica che possiedi come patrimonio genetico ma è l’uso degli aggettivi, degli avverbi, la terminologia insomma che ti mette su un piano più alto. Non sei cambiata in questo Nicoletta, in questo il tempo non ti ha giustiziato: in fondo verba ludica serve anche a questo, a riconoscersi nel tempo che viviamo con le nostre sconfitte comuni, le rare vittorie…il nostro essere pensanti. Le donne e gli uomini impegnativi vedranno sempre molte fughe. Salutiamo.

  5. Ho come la sensazione che il disincanto avvolga molto del sé e del suo mondo, una sorta di isola circondata dalla nebbia, a mo’ di fossato, che funga da muro invisibile tra se stessi e le proprie emozioni, tra se stessi e i propri sogni.

  6. E’ triste dover portare una maschera per fingere di non soffrire, di non sentirsi ferita, così come il voler sorridere, pur con amarezza, su quell’amore tradito.
    Racconto triste e intenso. Complimenti!
    Katherine
    viracconto1.blogspot.it

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